lunedì 10 luglio 2017

BlogTour: La sorella di Louise Jensen - Presentazione+ Estratti



Cari Lettori
Buon giorno a tutti.
Sono felice di presentarvi  e di partecipare al BlogTour :La sorella di Louise Jensen.
Vi regalo qualche estratto,per incusiosirvi....


Le ultime parole di Charlie continuano a perseguitare la sua migliore amica Grace, che non è più la stessa da quando lei è morta. Grace è una giovane maestra che vive tranquilla con Dan, conosciuto ai tempi del liceo. È una ragazza piena di sensi di colpa, perché si è sempre sentita responsabile della scomparsa delle persone che ha amato, persino di quella della sua migliore amica Charlie. Loro due avevano un legame speciale fin da ragazzine, quando avevano nascosto insieme la misteriosa memory box di Charlie. Ora quella scatola piena di segreti è l'unico oggetto rimasto a Grace come ricordo. Al suo interno, ha trovato la lista dei desideri dell'amica: il primo sarebbe stato ritrovare il padre che non aveva mai conosciuto. Per lealtà verso quella che per lei è stata una sorella, Grace decide dunque di indagare e ben presto si imbatte in un'altra donna, Anna, che sostiene di essere la vera sorella di Charlie. Sarebbe bellissimo ritrovare una famiglia, ma il suo arrivo è accompagnato da segnali inquietanti. Gli oggetti scompaiono. Arrivano telefonate silenziose nel cuore della notte. Messaggi minacciosi. Persino Dan si comporta in modo strano. E Grace è sicura che qualcuno la segua. È tutto nella sua mente o succede davvero? Per darsi una risposta, Grace inizia un agghiacciante viaggio nel proprio passato. E in quello della ragazza che credeva di conoscere come se stessa.

Estratti

Uso la torcia dello smartphone per evitare di finire in qualche tana di coniglio e scavalco con prudenza rami e tronchi che un tempo avrei superato con un balzo. Ho venticinque anni, sarei ancora in grado di farlo, ma ho troppi oggetti in mano. E poi non ho fretta: è una spedizione che non avrei mai immaginato di dover fare da sola.
Mi fermo, mi appoggio la vanga sul fianco, apro e chiudo le dita e scrollo il braccio intorpidito. Un fruscio improvviso mi fa sentire osservata. Con il batticuore, vedo due conigli sbucare dai cespugli e scappare via spaventati dalla luce. «Tutto bene», dico per rassicurarmi, ma l’eco della mia voce mi ricorda quanto sono sola.

Nonostante il freddo di gennaio scoppio di caldo e, mentre tolgo i guanti, mi sembra di sentir riecheggiare fra gli alberi le ultime parole di Charlie: «Grace, ho fatto una cosa orribile. Spero che riuscirai a perdonarmi».
A che cosa si riferiva? Non sarà stato nulla, rispetto a quello che ho fatto io, ma sono decisa comunque a scoprirlo, perché non posso andare avanti così. Non sapevo da che parte cominciare finché, stamattina, ho ricevuto per posta una busta rosa e mi è tornata in mente quella che Charlie aveva aggiunto di nascosto alla scatola dei ricordi senza farmela leggere

Mi ritrovo sola con una lunga serata davanti. Non ho ancora cenato, ma non ho fame. Vado in cucina e apro una bottiglia di vino. Del resto il tè è finito, penso per giustificarmi, perché mi sento sempre un po’ in colpa a bere da sola.
Il soggiorno è semibuio. Accendo le lampade da tavolo e ab­basso il lampadario centrale, che è troppo forte. La luce è rosea, più calda. Mi siedo sul divano con le gambe raccolte e poso una mano su Mittens che dorme. «Siamo solo noi due stasera», le dico. Guardo la scatola e penso che non è vero: c’è anche Charlie. Lei è sempre presente.

«Non ci voglio andare. Ti prego.»
«Lo so che è stata dura per te trasferirti.»
Era dir poco. Non avevo nostalgia soltanto delle persone che avevo dovuto lasciare, della mia cameretta giallo girasole o della mia scuola. Mi mancavano i rumori di casa: le onde che si frangevano sulla sabbia quando mi svegliavo la mattina, il cigolio del terzo gradi­no ogni volta che qualcuno ci posava il piede, gli strilli dei gabbiani mentre andavo a scuola; il rumore dei ciottoli quando tornavo taglian­do per la spiaggia, con l’aria salmastra che mi riempiva i polmoni.

Rovesciai la testa all’indietro e chiusi gli occhi. Il silenzio era inquietante. Ci avevano detto di presentarci a quell’ora, un po’ dopo lo squillo della campanella, perché l’impatto fosse meno traumatico. Invece per me entrare in classe a lezione iniziata era ancora peggio. Presi fiato, come mi aveva insegnato Paula, e provai a visualizzarmi in un posto piacevole. Immaginai di essere in camera mia, quella vera, quella che probabilmente non avrei rivisto mai più. A poco a poco smisi di tenere i pugni stretti ed evidentemente mi assopii, perché fui svegliata da un rumore di passi, di tacchi alti che si avvicinavano. Per un attimo mi illusi che tutto fosse tornato alla normalità, mi parve di essere a casa con la mamma che preparava la cena per papà.



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