Ciao a tutti
sono molto felice ti ospitare e di
aprire il BlogTour di Traveller.
Principalmente voglio ringraziare
la casa editrice, che ha pubblicato a distanza di poco tempo sia il primo che
il secondo.
Per invogliarvi a leggere questa
meraviglio serie... vi lascio un pezzettino del prologo del secondo libro....
Etta Spencer non sapeva di
poter viaggiare nel tempo fino al giorno in cui si è ritrovata a chilometri e
secoli di distanza da casa sua. Ora, di nuovo sola, in un luogo e in un tempo a
lei sconosciuti, lontana dal ragazzo che ama e derubata dell'unico oggetto che
avrebbe potuto proteggere la linea temporale e salvare sua madre, Etta deve
fare i conti con una scioccante rivelazione. Una verità in grado di mettere in
discussione tutto quello per cui ha combattuto fino ad ora, e che potrebbe
cambiare pericolosamente per sempre il suo futuro.
PROLOGO....
Un tempo, aveva una bambola con un
sorriso dipinto sul viso, e capelli e occhi chiari come i suoi. Per un po’, era
stata una compagna costante, un’amica con cui prendere il tè quando Alice era
in viaggio con il papà, una confidente con cui origliare i segreti bisbigliati
dai suoi genitori, qualcuno che la ascoltasse quando nessun altro lo faceva. Si
chiamava Zenobia, come la regina guerriera del deserto di cui il nonno le aveva
parlato. Ma un giorno, mentre Henry Hemlock la rincorreva in giardino, la
bambola era caduta e Rose le aveva pestato il collo, frantumando la fragile
porcellana. Quel suono orribile le aveva fatto salire il cuore in gola.
Ora, il suono del collo di sua
mamma che si spezzava sotto lo stivale di quell’uomo la fece vomitare.
Un palpito di potere infuocato si
sparse nella stanza come un’onda anomala, portando con sé il caos distruttore
prodotto dal collasso del passaggio vicino. Rose fu spinta contro la parete
dell’armadio. L’aria tremula le fece vibrare le ossa, battere i denti.
Morta.
Rose trattenne il fiato,
strizzando forte gli occhi chiusi, sentendo l’urlo disumano di suo padre
dall’angolo in cui l’uomo in ombra lo teneva imprigionato a terra, con una
spada conficcata nella spalla. Sapeva di non dover urlare insieme a lui, di non
dover tentare di raggiungere la mamma come stava facendo lui. L’armadio
nascosto, ricavato nella parete dietro la libreria, l’avrebbe protetta come
promesso dal nonno, ma solo se fosse rimasta zitta e ferma. La minuscola crepa
tra il fondo della mensola e la cornice era sufficiente a intravedere qualcosa
senza farsi scoprire.
Pian piano il pomeriggio era
scivolato nella notte. La cena li aspettava in tavola al piano di sotto, quasi
intatta… l’unico avvertimento dell’intrusione era giunto dal ringhio
piagnucoloso del cane dei vicini, presto zittito. Il papà aveva avuto appena il
tempo di accendere le lampade e il camino dello studio, e la mamma il tempo di
nasconderla, prima che dei passi si abbattessero sulle scale. Il calore e
bagliore che rimanevano davano l’impressione che l’oscurità nella stanza
respirasse.
«Ti ho detto di collaborare.»
L’uomo indossava un fine cappotto nero dai bottoni d’argento, su cui era inciso
un simbolo che non si vedeva bene. La parte bassa del volto era coperta da una
sciarpa sottile, che non mascherava però il tono setoso della voce. «Non deve
per forza andare così. Rinuncia alla tua rivendicazione, consegna l’astrolabio
a me, e i nostri rapporti si concluderanno qui.»
Vetri rotti e fogli sparpagliati
scricchiolavano sotto i suoi stivali mentre l’uomo camminava intorno alla
mamma… alla mamma che era…
No. Il nonno sarebbe tornato
presto dalla sua riunione. Le aveva promesso di rimboccarle le coperte, e il
nonno manteneva sempre le promesse. Lui avrebbe rimesso tutto a posto. Questo
era… era solo un incubo. Era la sua sciocca immaginazione, che sognava tutte
quelle storielle sulle ombre che venivano a mangiarsi i figli dei viaggiatori.
Sarebbe finito tutto in fretta, e lei si sarebbe svegliata.
«Maledetti mostri, tutti voi!» Il
papà tentò di estrarre la spada afferrando la lama e lasciandovi una scia di
sangue. L’uomo che lo sovrastava si appoggiò all’elsa d’oro intagliata,
affondandola ancora di più. Il papà sussultò, scalciando l’aria.
La mamma non si mosse.
Rose sentì un urlo acuto e
bollente salire in gola. Il fiume di sangue, con il suo odore pungente, aveva
inzuppato il tappeto e iniziava ad allargarsi strisciando verso i capelli
chiari della mamma. Il papà tentò di nuovo di alzarsi, afferrando un fermacarte
di pietra che era caduto dalla scrivania nel parapiglia iniziale. Lanciando un
urlo a pieni polmoni, scagliò la pietra verso la testa dell’uomo mascherato.
Lui la afferrò al volo e, per tutta risposta, si fece passare un’altra spada
sottile dal secondo uomo mascherato di guardia alla porta. Con un grugnito,
infilzò il braccio del papà, tenendo fermo anche quello. Al papà sfuggì un urlo
di dolore, ma non fu abbastanza forte da coprire la risata dell’uomo
mascherato.
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