lunedì 27 marzo 2017

BlogTour : DUE CUORI E UN SEGRETO di Emma Hart - Presentazione + Prologo

Ciao a tutte
finalmente possiamo leggere il nuovo libro di Emma Hart, il blog è molto orgoglioso di ospitare la prima tappa di questo BlogTour dedicata a questa scrittrice che amo molto.




Conner Burke è l’idolo delle teenager: canta nei Dirty B., la band che ha fondato insieme ai tre fratelli, e con le sue canzoni fa sciogliere il cuore di qualsiasi ragazza. Eppure, lui ne ama solo una: Sofie Callahan, la sua amica d’infanzia, la sua musa. Quella che gli ha spezzato il cuore scomparendo nel nulla all’improvviso. Ma quando, dopo due anni e mezzo di lontananza, Sofie ritorna improvvisamente a casa, niente potrà più essere come prima. Sì, perché lei non è sola: con sé ha portato la piccola Mila. Sua figlia. A Conner basta uno sguardo agli occhi blu della bambina per capire tutto. La rabbia del ragazzo, distrutto per essersi perso i primi anni di vita di Mila, e poi i pettegolezzi della gente e i giornalisti a caccia di gossip renderanno molto difficile il suo rapporto con Sofie. Come se non bastassero il risentimento, i ricordi... e l’inarrestabile attrazione che li unisce. Ma forse nemmeno la lontananza e gli inganni sono riusciti a cancellare l’amore che li univa. Può però Conner tornare a fidarsi, se lei rifiuta di rivelargli l’ultimo, inconfessabile segreto che l’ha spinta a fuggire?

Emma Hart ha autopubblicato il suo primo romanzo, Scommettiamo che ti faccio innamorare?, quando aveva solo 19 anni. Il libro è presto balzato in testa alle classifiche del «New York Times», facendosi notare dagli editori che si sono poi contesi all’asta i capitoli seguenti. Questo, dopo Una scommessa per sempre, è il terzo volume della serie, chiamata «The Game» e interamente pubblicata da Fabbri.
  • Casa editrice :Fabbri Editori
  • Data Pubblicazione: 30 marzo 2017
  • Prezzo: 17.90 €
  • Pagine: 368
  • Capitolo 1

    Sofie

    «Ahia! Merda!»
    Mi allontano dalla macchina con un balzo, scuotendo la mano. Il dito mi fa un male cane.
    Sollevando la valigia mi sono spezzata un’unghia. Ovvio. Ecco un altro motivo per cui tornare a Shelton Bay è stato un errore: fossi rimasta a Charlotte, avrei ancora tutte le unghie
    intatte. Mi succhio il dito e lancio un’occhiata all’abitacolo attraverso il lunotto posteriore. Mila dorme ancora, grazie al cielo. Se fosse stata sveglia e mi avesse beccato a imprecare
    adesso starebbe urlando: «Mamma! Butta parola!»… e poi avrebbe ripetuto le mie parolacce per tutto il giorno. Apro il bagagliaio con un sospiro di sollievo. Afferro quella maledetta valigia, che schizza fuori dalla macchina e finisce a terra facendo scricchiolare la ghiaia. La schivo per un pelo. Che schifo, i lunedì.
    Mai, mai traslocare di lunedì. E soprattutto: mai nel posto da cui si è fuggiti.
    Prendo dal cassetto del cruscotto la busta che mi ha dato l’avvocato e ci frugo dentro in cerca delle chiavi. Le trovo, ascoste tra i documenti spiegazzati, e dopo aver controllato
    ancora Mila raggiungo la porta. Esito, inspirando a fondo. Sono passati due anni e mezzo
    dall’ultima volta che sono stata davanti a questa casa, ed è trascorso ancora più tempo da quando ho messo piede all’interno. Non so in che stato possa essere: papà è morto
    otto mesi fa. So solo che ho rimandato questo momento il più a lungo possibile.
    Infilo la chiave nella serratura e deglutisco. Mi tremano le mani. Spingo la porta e il battente si muove con un sinistro scricchiolio. L’istinto mi dice di filarmela: ad aspettarmi potrebbe esserci un’orda di zombie, per quel che ne so. O qualcosa di peggio. Fortunatamente, il mio cervello funziona ancora e mi dice di entrare. E anche che dovrei piantarla di guardare The Walking Dead. Il posto è identico a come lo ricordavo. Alle pareti sono appese le stesse foto. Mia madre che mi abbraccia, accovacciata dietro di me. Mio padre e mio fratello, Steve, che sorreggono
    un enorme salmone, in Oregon. Papà e io, il giorno del mio quinto compleanno. Indossavo un vestitino da principessa a balze. Io, Ste e i nostri genitori a una delle partite di baseball di mio fratello: l’ultima foto che ci ritrae tutti insieme.
    Lo stesso tappeto di sempre nell’ingresso, con gli angoli lievemente rovinati dal tempo… e Dio santo, è orribile esattamente come allora. Solo le donne anziane dovrebbero avere in casa dei tappeti a fiori. Ha ancora lo stesso odore, lavanda e asciugamani freschi di lavatrice. Chiudo gli occhi e inspiro. Dannazione. Non sono venuta qui abbastanza spesso. Avrei dovuto essere più
    presente. Malgrado papà fosse andato a vivere in un ospizio di Charlotte per starmi più vicino, anziché andare a Raleigh. Malgrado sia stato lui a raggiungermi, e non viceversa.
    Sono stata troppo egoista per andare da lui quando aveva bisogno di me.



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