giovedì 19 gennaio 2017

Release Blitz :Con te sarà magia di Jessica Sorensen



La vita di Violet Hayes è un vero disastro. Da una parte c’è Preston, che non smette di tormentarla, dall’altra l’incertezza sulla sorte dei suoi genitori, appesa a una sentenza che non arriva; in più è indietro con lo studio e non sa se ce la farà a superare tutto questo. Quando le arriva un’ennesima notizia ferale, Violet sente che è l’ultima goccia e si ritrova a fare qualcosa di estremamente rischioso. Per fortuna riesce a cavarsela, così si ripromette di mettere ordine nella propria vita e di capire quel che prova per Luke Price, l’unico che è sempre rimasto al suo fianco. Anche Luke, giocatore d’azzardo ed ex alcolista, ha però le sue sfide da vincere. È innamorato di Violet, ma non riesce a trovare l’occasione giusta per dichiararsi nel timore che lei si spaventi o peggio, che non ricambi il sentimento. Sembra non sia mai il momento per confessarle il suo amore, per sfortuna o per sua incapacità, o per la presenza di Preston che rovina ogni momento…


Capitolo 2 

       Luke

       È davvero tardi, maledizione, e vorrei solo andarmene a casa. Con tutta la storia di quel “piccola” credevo ormai di averla in pugno, ma poi devo aver detto qualcosa che l’ha mandata nel panico e all’improvviso Violet se n’è andata a farsi un altro drink. Guardarla annegare il dolore nell’alcol mi uccide – capisco il suo bisogno fin troppo bene. Comunque, vederla attraversare tutto questo mi ha reso più facile restare sobrio, perché voglio rimanere lucido per lei. Certo, non è una cazzo di passeggiata. Ogni volta che ho dell’alcol nelle vicinanze, la mia mente continua a sentirsi attratta dal suo gusto inebriante. Quello che mi salva, che mi impedisce di cedere al bisogno di un sorso, è la consapevolezza di quanto bene voglia a Violet e di quanto io le debba, considerato quello che mia madre le ha portato via.

       Alla festa, ho passato la maggior parte del tempo a tenerla d’occhio. Nelle ultime settimane è diventata una specie di routine. Lei si ubriaca e io sono lì a occuparmi di lei. Ma stasera ho incasinato le cose, quando mi sono fatto distrarre dagli sproloqui di Drey Flitpherm sulla stagione di quest’anno e sul fatto che “faremo il culo” a tutti.


       Annuisco, ascoltandolo solo a metà, mentre con gli occhi scruto la folla in cerca di Violet. «Sì, dovremmo riuscire a far bene». L’ultima cosa di cui m’importa adesso è il football.

       Drey annuisce e butta giù un sorso. «Ma come, stasera non bevi?».

       Scuoto la testa. «No, devo guidare». Non avrei mai pensato che una frase del genere potesse uscire dalla mia bocca.

       Lui mi guarda come se avessi appena negato l’esistenza della forza di gravità o roba del genere.

       «Dici sul serio?».

       Mi stringo nelle spalle. È perplesso, e non lo biasimo. Sono tristemente famoso per la mia capacità di ubriacarmi e mettere paura alla gente. Ma questo è quello che facevo un tempo, ora non più, e spero che gli altri la smettano di definirmi un bevitore accanito, arrabbiato e puttaniere. «Devo trovare una persona», dico, prestando a malapena attenzione quando Drey mi grida dietro qualcos’altro. Mi apro un varco tra una folla che puzza di tequila, sudore e dipendenza, e alla fine trovo Seth che sta chiacchierando con Greyson in un angolo della stanza.

       «Ehi, avete visto Violet?», li interrompo, ma li conosco abbastanza da sapere che non importa. Seth e Greyson sono i nostri coinquilini e li considero entrambi degli amici. Sono al corrente di quello che sta passando Violet quanto basta per capire che non riuscire a trovarla non è probabilmente la cosa migliore che possa capitare.

       Seth indica il corridoio. «L’ultima volta che l’ho vista stava andando in bagno».

       Mi dirigo da quella parte, mentre Greyson mi grida alle spalle: «Tutto bene?». Mi volto e annuisco, ma mi sento il più grande schifoso bugiardo del mondo. «Sì, ho solo bisogno di trovarla. Tutto qui».

       «Bene, se ti serve aiuto dimmelo», dice lui, prendendo un sorso d’acqua dalla bottiglia.

       Faccio segno di sì e poi percorro in fretta il corridoio, dirigendomi in bagno. Fuori c’è una fila di gente che aspetta, ma io vado dritto fino alla porta e busso, rimediandomi una serie di insulti. «Violet, sei lì dentro?».

       C’è un attimo di silenzio, e poi sento un «Sì» soffocato.

       Il sollievo mi pervade. Non mi ero nemmeno accorto che averla persa di vista mi avesse reso così nervoso. Provo ad aprire la porta ma è chiusa, allora busso di nuovo e la chiamo, ma stavolta non risponde. Grazie al cielo il chiavistello è piuttosto semplice e riesco ad aprirlo con una monetina. Mentre entro nel bagno qualcuno mi grida contro qualcosa, ma mi basta rivolgere al colpevole il mio sguardo della serie vaffanculo che quello arretra di un passo e io mi chiudo la porta alle spalle. Il bagno è piccolo, perciò non dovrebbe essere difficile trovarla, ma a un primo sguardo non riesco a vederla da nessuna parte.

       «Violet». Oltrepasso il lavandino, diretto verso la vasca. «Sei qui?»

       «Qui». La voce è incerta, e sembra provenire dalla vasca/doccia.

       Tiro indietro la tendina ed eccola lì, nella vasca, le ginocchia piegate contro il petto, abbracciate così strette che sembra voglia raggomitolarsi su se stessa. Mi chino accanto a lei e le metto la mano sotto al mento, sollevandole il viso per controllare il suo livello di ubriachezza. Le pupille allargate e la totale incapacità di mettere a fuoco qualsiasi cosa mi rivelano che è arrivato il momento di tirarla fuori di lì.

       «Sono pronta ad andare», farfuglia, e le lacrime iniziano a scenderle dagli occhi. È successo così tante volte che so esattamente cosa devo fare. La sollevo e la porto via, verso casa nostra, come mi ha chiesto lei.

       Sono le due del mattino quando parcheggio davanti al nostro complesso residenziale, in una zona buona della città, da dove nella stagione calda si raggiunge facilmente a piedi l’università. Dopo aver vomitato nei cespugli, nel tragitto verso casa Violet è crollata nel mio furgone, perciò ora la devo portare in braccio per le scale, ma non m’importa. Non è mai stata una gran bevitrice, e la cosa diventa evidente ogni volta che prova a darci dentro con l’alcol. Odio quando succede. Rivoglio indietro la mia Violet.

       La mia Violet? Che stronzata! Come se lei appartenesse a me. Non è così. Anche se, mentre abbasso lo sguardo su di lei, gli occhi verdi serrati, le labbra piene leggermente socchiuse, le onde rosse e nere dei suoi capelli che mi pendono sul braccio, il corpo rannicchiato contro il mio, affidandosi completamente a me per farsi portare dentro, sembra quasi che sia mia.

       «Cazzo, se solo sentisse quello che stai pensando ti castrerebbe all’istante», borbotto tra me. Violet non è mai stata il tipo di ragazza a cui piace l’idea di appartenere a qualcuno. È sempre forte e indipendente, e questo è uno dei motivi che mi hanno fatto innamorare di lei. Ne ho avuto abbastanza di donne bisognose e tutto il resto, ed è una cosa che non sopporto, uscire con donne che non solo vogliono si dica loro cosa devono fare, ma che pretendono anche di starti sempre appiccicate. Un tempo non mi dispiaceva. Amavo avere il controllo – ne avevo bisogno, dopo un’infanzia passata a essere controllato da una madre autoritaria e psicotica. Ma da quando ho conosciuto Violet e ho visto un altro lato delle cose, ho sperimentato la sfida, la connessione, il desiderio e cosa significhi voler davvero qualcuno a un livello più passionale, ho capito che non sarei più tornato indietro. E non ho nessuna voglia di ritornare alla mia vita prima di Violet. Vorrei solo avere una situazione più stabile. Vorrei che lei riuscisse a superare tutta la storia di mia madre, vorrei che mia madre fosse in prigione e che Violet trovasse una ragione per impegnarsi a fare i conti con la realtà, superarla e stare meglio. Vorrei poterla aiutare a ritrovare la sua forza indomabile, la sua indipendenza. Non la biasimo se è arrabbiata o logorata o confusa. Ha tutto il diritto di esserlo, e l’unica cosa che posso fare è starle accanto fino a quando non sarà pronta per andare oltre.

       Prima di arrivare in cima alle scale faccio un cenno di saluto alla macchina nera coi vetri oscurati che so essere la macchina della polizia. È qui tutte le notti, parcheggiata accanto al marciapiede a vigilare, e questo grazie a Preston e alla sua ossessione che lo spinge a tormentare Violet coi messaggi e le minacce di morte. Ha messo la polizia in grande allerta, dal momento che ora è considerato un sospettato per l’omicidio dei genitori di Violet.

       Arrivo alla porta del nostro appartamento, e sto faticando per tirare fuori le chiavi senza mettere giù Violet quando noto una scatola davanti alla porta. A un primo sguardo penso sia un pacco arrivato con la posta, ma poi quando mi chino mi accorgo che è indirizzato a Violet Hayes e che non c’è traccia di francobollo, mittente e nemmeno del nostro indirizzo. Scatto subito sul chi vive. Guardandomi intorno, verso le porte che ci circondano e poi il parcheggio sotto di noi, apro in fretta la porta ed entriamo. Dopo aver deposto con cautela Violet sul divano, torno verso il pacco, cercando di decidere cosa farne. Lo prendo e lo apro? A essere sincero, vorrei solo buttarlo via senza guardare al suo interno, perché so che non può esserci niente di buono là dentro, che qualunque cosa contenga non farà che peggiorare una situazione che è già di merda così com’è. Ma allo stesso tempo, non sapere potrebbe essere anche peggio. Con immensa esitazione, esco e mi chino per strappare con attenzione lo scotch che chiude la scatola, notando quanto essa sia leggera. Il perché lo capisco quando la apro. Dentro non c’è che un’unica foto, di Violet. Subito la mascella mi si serra e le mie dita si piegano per sferrare un pugno contro il muro. Nella foto, Violet indossa solo mutandine e reggiseno. Tiene in mano il vestitino nero che porta proprio ora, e sembra sul punto di infilarselo, il che significa che la foto è stata fatta poco prima che andassimo alla festa. Dall’angolatura, sembra sia stata scattata da qualche parte dall’altro lato della strada, o dal terrazzo del ristorante di fronte o nella casa a due piani che è in vendita da un mese. Non è firmata, ma so da chi proviene. Dallo stesso tizio che aveva una stanza piena di foto di Violet. Il tizio che le inviava messaggi minatori. Preston.

       La volto e leggo una frase sul retro: «Guarda com’è stato facile eluderli». Immagino si riferisca alla polizia che controlla l’area.

       «Cazzo». Questa è una novità da parte sua. Venire dritto alla nostra porta. Vorrei solo ammazzarlo di botte, ma è complicato, se il bastardo continua a stare nascosto. Penso di attraversare la strada e perlustrare la casa e il ristorante, anche se dubito che sia ancora lì. E poi probabilmente la polizia mi sta già guardando e di sicuro si chiederebbero cosa diavolo sto facendo, il che non mi creerebbe alcun problema se non fosse che sanno chi è mia madre. Mi guardano con sospetto, come se potessi sapere dove si trova e la volessi proteggere, sono stati chiari al riguardo.

       Dopo aver chiuso a chiave la porta, mi precipito giù per le scale e attraverso il parcheggio, dirigendomi alla macchina della polizia parcheggiata davanti al marciapiede della casa in vendita dal lato opposto della strada. Quando busso al finestrino, l’uomo seduto dalla parte del guidatore abbassa il vetro con diffidenza.

       «Posso aiutarti?». È un uomo probabilmente vicino ai quaranta, in borghese, come anche la macchina che è una normale berlina. Un tentativo di passare inosservati, ma considerando la scritta sul retro della foto è chiaro che non sta funzionando un granché.

       «Sono Luke… il ragazzo di Violet…». Mi schiarisco la voce, realizzando che ancora non abbiamo mai messo in chiaro il nostro rapporto, ma mi sembra di essere nel giusto a presentarmi così. «Qualcuno ha lasciato questo davanti alla porta del nostro appartamento». Gli tendo la foto e la scatola. Il poliziotto guarda la foto e poi la sua collega, una donna che probabilmente ha passato la quarantina, in jeans e camicetta.

       «Quand’è arrivata?», mi chiede. La cosa mi manda in bestia. Dovrebbero saperlo, se davvero stanno sorvegliando il posto come si suppone debbano fare, dato che erano già là quando siamo usciti per andare alla festa e il pacco è stato portato di certo in qualche momento tra allora e adesso.

       «Ditemelo voi», sbotto irritato, infilandomi le mani in tasca e guardandomi attorno, in cerca di qualcosa fuori dall’ordinario. «Siete voi quelli che si suppone debbano sorvegliare il posto».

       Lui mi lancia uno sguardo freddo, prendendo il caffè dal cruscotto. «Non rompermi i coglioni su come dovrei fare il mio lavoro, ragazzino».

       «Non lo farei, se lei lo facesse bene». Il mio sguardo viaggia verso la casa, dall’altro lato della macchina. «La foto potrebbe essere stata scattata da là». Poi indico il ristorante, che sembra dormire. «O là, il che significa che il posto era vicino». Mi fermo, e guardo il poliziotto stringendo gli occhi. «Che lui era vicino».

       Il poliziotto mi lancia un’occhiataccia. «Non c’è ancora nessuna prova su chi sia stato a lasciare il pacco».

       «Mi sembra abbastanza ovvio», esclamo. «Considerando che lo stalker è uno solo».

       Lui lancia la foto e la scatola alla collega. «Grazie per il suggerimento», dice. «Ma lascia il lavoro del poliziotto ai professionisti».

       Tira su il finestrino, mentre io borbotto: «Maledetto idiota», prima di andarmene. Avrei dovuto aspettare la mattina e portarlo direttamente al detective Stephner. Lui è più professionale e gli importa di più di risolvere il caso, è più interessato al benessere di Violet.

       Torno all’appartamento e mi chiudo la porta alle spalle. Violet sta ancora dormendo sul divano, sdraiata sulla schiena, le braccia abbandonate sopra la testa, il respiro leggero. Sembra più in pace di quanto l’abbia vista ultimamente, il che è molto triste, se penso che è crollata così perché ha bevuto troppo.

       Decido che è meglio portarla in camera piuttosto che strizzarmi lì a fianco sul divano, perciò la sollevo e la trasporto fino al letto. La metto giù, le sfilo le scarpe, poi mi tolgo maglietta e jeans e mi infilo nel letto accanto a lei, tirando su la coperta. Subito lei mi scivola più vicino, fino a seppellirmi il viso nel petto. La circondo con un braccio e le bacio la fronte, fingendo che sia tutto a posto. Che la mattina ci sveglieremo come una coppia normale, con il sole che filtra attraverso la finestra nel silenzio della stanza. Ma dentro di me so che probabilmente sarò sveglio ben prima che sorga il sole. E che la casa sarà tutt’altro che silenziosa. Risuonerà delle urla di Violet.


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